Yosemite è un mare di granito modellato come cera da un enorme ghiacciaio che è scomparso 750 mila anni fa lasciando il posto a fiumi che hanno eroso profondamente quest'area creando la Yosemite Valley e le altre insenature ora ricoperte di pini e sequoie.
Dal nostro lodge, al Bass Lake, abbiamo raggiunto col camion Glacier Point all'estremo est del parco.
Da lì, con il solito tempismo da analfabeti dell'escursionismo, ci dirigiamo, a mezzogiorno preciso, verso le cascate Illilquette Fall.
Sotto un sole che cucina ogni cosa, scendiamo attraverso tornanti di sabbia e granito, verso una valle sconfinata e assolutamente disabitata.
Anche i turisti non sono molti, soprattutto a quest'ora.
Il paesaggio potrebbe sembrare quello tipico delle nostre parti se non fosse per la presenza delle sequoie, non così giganti come nel Sequoia Park, ma pur sempre maestose.
Molte sono bruciate o morte e rendono così vero questo posto al punto che la fatica ed il caldo passano in secondo piano.
Arrivati alla cascata ci posizioniamo all'ombra per mangiare, ma subito dopo non resistiamo al richiamo di una pozza naturale di acqua gelida.
E' li che ci chiama, limpida e cristallina, ammaliante come una vera sirena.
Due minuti e siamo in mutande ( e reggiseno, la Vale) e ci buttiamo dentro rischiando l'infarto.
Elisabetta, unica saggia, rimane in felpa all'ombra e ci immortala nel prode gesto atletico.
Il ritorno, tutto in salita e sotto un sole ancor più caldo, mette a dura prova, L'incontro con una famiglia di caprioli ci regala però una gradita sorpresa. Assieme agli scoiattoli, un qualcosa dalla coda lunga che poteva essere un lucertolone o un serpente che mi ha attraversato la strada mentre ero in fuga solitaria, un'aquila e un falchetto che hanno disegnato larghi cerchi sopra le nostre teste, sono gli unici animali visti oggi.
Degli orsi, purtroppo o per fortuna, nessuna traccia. Peccato, avrei volentieri intitolato il post di stasera "La Storia dell'orso", dando seguito un po' più vero ad una storiella dallo stesso titolo, inventata un po' di tempo fa per i miei amici del TC (Trekking Committee, una storia lunga, ma bella).
Il pezzo forte della serata è però la cena.
Un consiglio di guerra tenuto in macchina mentre facciamo una puntata ad un View Point subito dopo il tunnel nella Yosemite Valley per vedere El Capitan, la cima più famosa di questo parco assieme all'Half Dome attorno al quale abbiamo boccheggiato oggi, decreta che è meglio mangiare a casa.
I ragazzi preferiscono la mia cucina a quella della Steak House di Oakhurst che ci aveva consigliato Betsy, la guest mother di Luca di Santa Cruz.
E così ci ritroviamo, in assetto anti-NCB (guerra Nucleare Chimico Batteriologica) dentro un bellissimo supermercato della piccolissima cittadina.
Abbiamo deciso di mangiare pasta e, per dare un sapore meticcio alla cosa, optiamo per un bis, anzi un tris: bucatini all'amatriciana (la pancetta c'è solo affumicata però), orecchiette con polpettine di angus e, ecco la contaminazione maggiore, orecchiette con polpettine di bisonte.
Una cena da leccarsi i baffi, con tanto di accompagnamento musicale e brindisi finti fatti sbiecchierando rumorosamente su arie smaccatamente tricolore come - nell'ordine - "O Sole Mio", "Va Pensiero", "Con te partirò", "Volare", "Il Cielo è sempre più blu" fino ad arrivare alla degenerazione vergognosa de "L'Italiano" di Toto Cutugno.
Non pensavo che Luca (che ha scelto questi pezzi) fosse così ferrato nella conoscenza della canzone tradizionale italiana!
Per fortuna ci ha evitato Al Bano e Romina Power che, magari con la scusa che lei è mezza americana, qui la conoscevano e finiva tutto a schifio…
Il titolo del post, oltre che alla canzone di accompagnamento della cena, è dovuto anche alla traiettoria seguita dalle olive e dai cetriolini comprati al supermercato di cui sopra che, erano talmente schifose che sono passate direttamente, volando appunto, dalla fase di assaggio a quella di volo "into the bin".