lunedì 8 settembre 2014

Coffee to the People

L'avventura si avvia verso la fine.
Dopo un giro in camion sulle colline dietro il Golden Gate, 




ci concediamo un momento di pausa profondamente americano: un lunch a base di sandwich consumato in un locale Indi, per niente frequentato da turisti, sulla leggendaria Haight Street, la via di negozi di magliette strane, frequentata dai panhandlers e avvolta nelle ormai famigliari folate aromatiche.





In cielo, un aereo pubblicitario ha disegnato un'enorme nuvola di parole che un ragazzo di strada, appoggiato al famoso angolo tra Ashbury e Haight, si prodiga a descriverci con particolari sulla stranezza di come ha preso forma.
Per strada la gente passa ovviamente come un qualunque giorno feriale, ma per noi il sapore di quest'ultimo tuffo nella San Francisco oggi così colorata da un sole altalenante. ha il sapore di un festoso arrivederci.


E' ancora presto per chiudere con il bilancio di questa lunga ed articolata esperienza, magari in aereo avremo modo di ritornarci sopra. Ci abbiamo provato più volte, in questi ultimi giorni, anzi, a dire il vero,  è dal primo giorno che, per prendere in giro gli altri, ogni tanto butto lì la frase: "è giunto il tempo dei bilanci…", ma nessuno mi ha mai seguito.

Solo ieri abbiamo iniziato a mettere insieme qualche osservazione finale. Ci siamo fermati quasi subito però, non appena ci siamo resi conto che, le nostre profonde riflessioni riguardavano in prevalenza aspetti diciamo, per così dire, logistici, legati ai cessi, ai bagni o a quel genere di cose lì.

Speriamo che il dolce dondolio del lungo volo ci ispiri qualche immagine retrospettiva più elegante…

domenica 7 settembre 2014

Humans in San Francisco

Questa sera sono troppo stanco per scrivere e quindi lascio che in automatico si carichi l'album delle foto alle persone scattate a San Francisco.

Le troverete (quando avranno finito di caricarsi) sull'album di facebook all'indirizzo:

https://www.facebook.com/media/set/?set=a.10203201260658082.1073741832.1405228836&type=1&l=2163d1e494

(Dovete fare copia incolla del link o accedere via fb sul mio diario)


sabato 6 settembre 2014

Volare

Yosemite è un mare di granito modellato come cera da un enorme ghiacciaio che è scomparso 750 mila anni fa lasciando il posto a fiumi che hanno eroso profondamente quest'area creando la Yosemite Valley e le altre insenature ora ricoperte di pini e sequoie.

Dal nostro lodge, al Bass Lake,  abbiamo raggiunto col camion  Glacier Point all'estremo est del parco.

Da lì, con il solito tempismo da analfabeti dell'escursionismo, ci dirigiamo, a mezzogiorno preciso, verso le cascate Illilquette Fall.


Sotto un sole che cucina ogni cosa, scendiamo attraverso tornanti di sabbia e granito, verso una valle sconfinata e assolutamente disabitata.
Anche i turisti non sono molti, soprattutto a quest'ora.

Il paesaggio potrebbe sembrare quello tipico delle nostre parti se non fosse per la presenza delle sequoie, non così giganti come nel Sequoia Park, ma pur sempre maestose.
Molte sono bruciate o morte e rendono così vero questo posto al punto che la fatica ed il caldo passano in secondo piano.




Arrivati alla cascata ci posizioniamo all'ombra per mangiare, ma subito dopo non resistiamo al richiamo di una pozza naturale di acqua gelida.
E' li che ci chiama, limpida e cristallina,  ammaliante come una vera sirena.

Due minuti e siamo in mutande ( e reggiseno, la Vale) e ci buttiamo dentro rischiando l'infarto.




Elisabetta, unica saggia, rimane in felpa all'ombra e ci immortala nel prode gesto atletico.

Il ritorno, tutto in salita e sotto un sole ancor più caldo, mette a dura prova, L'incontro con una famiglia di caprioli ci regala però una gradita sorpresa. Assieme agli scoiattoli, un qualcosa dalla coda lunga che poteva essere un lucertolone o un serpente che mi ha attraversato la strada mentre ero in fuga solitaria,  un'aquila e un falchetto che hanno disegnato larghi cerchi sopra le nostre teste,  sono gli unici animali visti oggi. 

Degli orsi, purtroppo o per fortuna, nessuna traccia. Peccato, avrei volentieri intitolato il post di stasera "La Storia dell'orso", dando seguito un po' più vero ad una storiella dallo stesso titolo, inventata un po' di tempo fa per i miei amici del TC (Trekking Committee, una storia lunga, ma bella).

Il pezzo forte della serata è però la cena.

Un consiglio di guerra tenuto in macchina mentre facciamo una puntata ad un View Point subito dopo il tunnel nella Yosemite Valley per vedere El Capitan, la cima più famosa di questo parco assieme all'Half Dome attorno al quale abbiamo boccheggiato oggi, decreta che è meglio mangiare a casa.

I ragazzi preferiscono la mia cucina a quella della Steak House di Oakhurst che ci aveva consigliato Betsy, la  guest mother di Luca di Santa Cruz.

E così ci ritroviamo, in assetto anti-NCB (guerra Nucleare Chimico Batteriologica) dentro un bellissimo supermercato della piccolissima cittadina.

Abbiamo deciso di mangiare pasta e, per dare un sapore meticcio alla cosa, optiamo per un bis, anzi un tris: bucatini all'amatriciana (la pancetta c'è solo affumicata però), orecchiette con polpettine di angus e, ecco la contaminazione maggiore,  orecchiette con polpettine di bisonte.

Una cena da leccarsi i baffi, con tanto di accompagnamento musicale e brindisi finti fatti sbiecchierando rumorosamente su arie smaccatamente tricolore come - nell'ordine - "O Sole Mio",  "Va Pensiero",  "Con te partirò",  "Volare",  "Il Cielo è sempre più blu" fino ad arrivare alla degenerazione vergognosa de "L'Italiano" di Toto Cutugno.

Non pensavo che Luca (che ha scelto questi pezzi) fosse così ferrato nella conoscenza della canzone tradizionale italiana! 
Per fortuna ci ha evitato Al Bano e Romina Power che, magari con la scusa che lei è mezza americana, qui la conoscevano e finiva tutto a schifio…

Il titolo del post, oltre che alla canzone di accompagnamento della cena, è dovuto anche alla traiettoria seguita dalle olive e dai cetriolini comprati al supermercato di cui sopra che, erano talmente schifose che sono passate direttamente, volando appunto, dalla fase di assaggio a quella di volo "into the bin".


venerdì 5 settembre 2014

Voglia di casa


Giornata di transizione, oggi.

La stanchezza inizia a farsi sentire. 

Dalla Sequoia Forrest, al Bass Lake, all'ingresso di Yosemite ci vogliono circa 3 ore di macchina e l'Idea di spingere il camion ad arrancare su è giù dagli saliscendi che ci aspettano, non mi entusiasma nemmeno un pochino.

Ecco perché accetto di cincischiare in riva al laghetto e lascio che Luca e la Vale si avventurino in canoa verso la piattaforma in mezzo allo specchio d'acqua.





Ed è per lo stesso motivo che oggi non se ne parla di scorciatoie di montagna. Seguiamo la via più lunga (e più veloce) che ci porta fino a Fresno e poi su, attraverso i frutteti della California, seguendo la Road 41, verso Yosemite.

La distesa di alberi da frutto ai lati delle strade ci invoglia a fermarci ad un chiosco che vende frutta fresca.
all'interno un ragazzo tracagnotto ci chiede da dove veniamo.
Quando sente che siamo italiani ci racconta del viaggio che sta per fare nei prossimi giorni, proprio nel nostro paese.
Gli chiedo se passa da Verona, lui controlla e mi dice che, si, il 3 ottobre sarà a Verona.
Purtroppo è un venerdì e lui alla sera torna a Venezia, altrimenti eravamo già sulla strada di incontrarci dall'altra parte dell'oceano.
E' bello vedere come, ancora, la parola Italia scatena un moto di amicizia e di interesse. Accade anche all'interno del piccolo supermercato dentro il resort che finalmente abbiamo raggiunto, dove il commesso (e la signora dietro di noi) si entusiasmano sinceramente per la nostra provenienza, iniziando a fare promesse di visitarci.

O come al lago, stamattina, dove abbiamo conosciuto una coppia con due gemelline. Quando lei ha saputo che eravamo italiani, ha chiamato subito il marito che lavora per la Peg Perego ed ha vissuto un anno e mezzo vicino a Monza.

Sentirsi benvoluto è un po' come sentirsi a casa.

La sistemazione in questo resort è molto bella. Praticamente due piani della metà di un villino di legno con tanto di cucina.

E' un vero sollievo poter mangiare un po' di cose cucinate da noi.
Domani ci aspetta l'ultima fatica dentro al Parco, ma siamo talmente stanchi che non abbiamo ancora deciso cosa faremo.

Improvvisare non è comunque mai un rischio in posti così belli. Alla peggio aggiungi un altro motivo per aver voglia di tornarci.

In Loving Memory/3

Quando uno è stanco, non dovrebbe leggere.

Mi ero portato in piscina, a Beatty (dall'altra parte della Death Valley, l'altro ieri) un libretto sulle fotografie e sui consigli dei fotografi della Lonely Planet.

Lo avevo comprato da "URBAN OUTFITTERS"  a San Francisco, uno di quei negozi pieni di figate postmoderne tipo i giradischi vintage o gadget strani come  le tazze a forma di pregiato obiettivo di macchina fotografica.

Perso.

Anche lui, come la Leica e l'ispirazione di fare delle belle foto.
Si vede che è destino che 'sto viaggio e le foto non vadano d'accordo.

P.S.:  So che non farà felice nessuno, ma posso invece annunciare con gioia che, "rumando" nel mio zaino (che ha ormai tanti strati quanti quelli delle rocce qua attorno) ho ritrovato, un po' acciaccate, ma ancora in buono stato di salute, le mie ciabattine con i buchi.
Anche qua il destino ci ha messo lo zampino, questa volta però, dalla mia parte.

Una montagna di deserti

L'abbraccio con la sequoia gigante al tramonto  compensa alla grande la lunga giornata passata a scavallare deserti montagnosi e attraversare montagne desertiche.

Il contatto con l'altissimo essere vivente è stranissimo. La sua pelle è pelosa e calda, il suo corpo sembra cavo come fosse un'enorme gabbia toracica che racchiude organi pulsanti.

Rimanere lì, imbambolato qualche attimo, con la mia barba attorcigliata alla sua, trasmette una senso di protezione  dal quale è difficile staccarsi.



In realtà, sono pochi gli esemplari nella Giant Forrest ai quali ti puoi avvicinare fino a toccarli.
Nella maggior parte dei casi, per rispetto al loro ambiente, sono protetti da una bassa staccionata di legno di continuo attraversata solo da decine di scoiattoli alla ricerca di cibo.
Anche il General Shermann, il più grande albero al mondo (33 metri di circonferenza e 86 di altezza) ha il cordolo di protezione come si deve ad una celebrità.



Arrivare sino a qui, viaggiando praticamente tutto il giorno, è stata veramente un'impresa.
Dopo aver di nuovo attraversato le montagne della Death Valley che tutto è, meno di un deserto piano,  abbiamo scelto di evitare la lunga circonvallazione della Sequoia National Forrest che arrivava a sud fino a Mojave e Baskerville e di tagliare più a nord attraverso la parte meridionale della foresta.
E così siamo passati dalla desolazione del deserto,  dalle sue grandi distese di sale o dalle sofficissime dune di sabbia, attraverso salite dritte come fucilate  in mezzo alle rocce dai mille strati che raccontano la storia della Terra, ci siamo attorcigliati in decine di tornanti in mezzo a pinete estese 100 volte il nostro Trentino, siamo poi arrivati ad un paesaggio che, se non fosse stato per il colore giallo dell'erba bruciata che da noi in montagna è raro vedere, era tale e quale alla nostra Lessinia, incluse quelle formazioni rocciose affioranti dal terreno che caratterizzano il nostro paesaggio.
Vedere le stesse distese centinaia di volte più grandi, mi ha fatto sentire cento volte a casa.






Una sola differenza spicca tra le altre (ad esempio la completa assenza di case o uomini per decine e decine di chilometri) : il vischio che infesta le chiome di molti alberi. Anche qui, come da noi al di là delle Alpi è molto comune.
Non è per niente comune, come invece da noi, l'edera che infesta i tronchi.

L'arrivo al nostro Lodge, dopo l'abbraccio con la mia amica Sequoia, ha richiesto una perizia da esploratore. Una volta qui, poi, ci siamo ritrovati in mezzo ad una congrega di boy scout (o boia scheo, come li chiamava il mio nonno) che festeggiavano attorno al fuoco il compleanno di uno di loro con commoventi dichiarazioni di autocoscienza collettiva.

Una pena, insomma…

Ulteriore rottura, unico cibo per la cena sono i rimasugli di pane, würstel cotti e hamburger lasciati nel frigo della cucina come "leftovers" a disposizioni di tutti.

Ci siamo così dovuti accontentare, ma ci sarebbe voluto però ben altro per rovinare l'incanto dell'abbraccio.


P.S.: Da questo posto è impossibile caricare foto, quindi lo farò questa sera...

giovedì 4 settembre 2014

In Loving Memory/2

Devo purtroppo comunicare che, nonostante la cura applicata nel gestire un pezzo di cuore come le mie ciabattine con i buchi, da stamattina non le trovo più.

Vanno quindi ad aggiungersi alla lista delle cose importanti perse in questo lungo viaggio…

Per chi non le conosce, sono quelle che io e il mio amico Enrico Girardi indossiamo dalla nascita. Hanno raggiunto un momento di massima celebrità quando hanno partecipato ad una famosa campagna pubblicitaria della Nike che vi riporto per comodità.

Non posso dire che chi le ha trovate abbia la stessa fortuna di chi si è ciulato la Leica, ma  a lui, o lei, auguro più fortuna...



mercoledì 3 settembre 2014

Sourdough Saloon

Della traversata della Valle della Morte da Las Vegas a Beatty, passando per i classici Dante's Point, Zabrinsky Point e Badwater Point (il più basso, 86 metri sotto il livello del mare) vi dirò meglio un'altra volta. Stasera sono troppo stanco per connotare bene le impressioni, a volte anche ansiogene, vissute attraversando questo paesaggio desolato.

Dico solo che mi  sono rimasti impressi, ancora una volta, i colori delle rocce (tutta la scala dei pastelli) ed il caldo, tanto, anche se non siamo mai andati sopra i 115° F (circa 46° C).
Scendere dalla macchina è stata sempre una sfida poco salutare.







Voglio invece spendere le poche energie a parlare della cena di stasera.

Come ho detto, siamo a Beatty, un paesino di 1000 abitanti ai piedi del Parco della Death Valley, sfortunatamente dalla parte sbagliata  rispetto a dove dobbiamo andare domani.
Non è che sempre la scelta tramite Internet sia la più azzeccata da un punto di vista della posizione geografica dell'albergo. Era già successo alla Monument Valley, dove avevamo cambiato al volo. Qui non c'erano molte possibilità e quindi ci siamo sobbarcati una  scollinata chilometrica del tutto in più, benché in assoluta solitudine.

Abbiamo approfittato della assoluta mancanza di traffico per "girare" una scena, a cui Luca teneva molto, in cui  surfa sul suo Penny agganciato al nostro camion con un aggeggio che lui stesso ha costruito partendo da un legno trovato a Zion.



Beh, tornando alla cena di stasera, visto che i posti in cui mangiare in questo paesino non sono molti, ci siamo infilati in un vero saloon frequentato prevalentemente dai locali.

Il Sourdough Saloon ha riempito la nostra serata con le siracche (in realtà innocue parolacce, rispetto alle mie, pura acqua fresca,,,) dei  ragazzi del posto che giocavano a bigliardo vicino a noi.



Nella sala del saloon, piena di slot, come ogni cesso nel Nevada, una folla rumorosa sovrastava urlando una musica rock sparata ad un volume insopportabile.
Le pareti in legno sono tutte ricoperte di banconote da un dollaro con la dedica e la firma.

Luca, che era quello che capiva più di tutti lo slang locale si è divertito come un pazzo.
Noi pure ed abbiamo anche mangiato bene (e speso poco).



E' come vedere una famiglia americana, ben disposta alle novità,  mangiare allegramente  in un bar di Caselle nel momento di euforia dopo una vittoria dell'Hellas.

Vedi come, a volte, sbagliare strada ti porta dritto al posto giusto.







MGM

E' il nome del nostro albergo a Las Vegas che, oltre ad avere qualche migliaio di stanze, ospita, ovviamente, un casinò sterminato, un centinaio tra ristoranti e negozi, un'arena dove si tengono spettacoli ed incontri di wrestling o boxe e persino 6 leoni vivi.

Siamo alloggiati al 28-simo piano con una vista strepitosa su New York.

Scrivo solo per ricordarmi di questa sistemazione, tra le più belle pur essendo la più economica.


Il limite K-T (La luna l'é ona lampadina)

L'inizio di giornata avrebbe anche avuto un istinto nobile: la ricerca del limite K-T.

Nulla di legato alla matematica, niente panico!

Avevo letto di questo limite K-T tanti anni fa in un libro di un fisico americano di origine spagnola, Louis Alvarez premio Nobel per alcune ricerche sulle particelle elementari.
Alvarez  diventò ancor più famoso per aver associato la anomala presenza di iridio in un particolare strato di sedimenti rocciosi al deposito delle scorie di un enorme nuvola gassosa provocata dall'impatto tra la Terra ed un grande asteroide

La nube di gas oscurò la luce solare per una decina d'anni al punto di provocare l'estinzione dei dinosauri depositandosi poi su tutta la crosta terreste.
Tracce di questo strato scuro di sedimenti sono infatti presenti da Gubbio al Colorado, dalla Tasmania alla Siberia.

La teoria di Alvarez risultò, fin da subito, scientificamente molto più solida di altre come quella che associava l'estinzione dei grandi rettili alle loro flatulenze (non so perché ma mi è venuto in mente Chief…)

Oggi noi cercavamo lo scuro strato K-T qui, tra i mille strati di colore diverso che compongono le montagne di questa zona.



Forse non abbiamo guardato bene, forse eravamo distratti da altro, fatto sta che non l'abbiamo visto e per di più abbiamo anche mancato l'uscita che portava ad un sito con le orme di dinosauro. 
Chi mi conosce sa che questa delle orme è una storia che mi prende molto.

Fallita così miseramente la missione scientifica, abbiamo prontamente ripiegato su una più prosaica giornata commerciale nell'ossimoro di Las Vegas.
Dico ossimoro perché questa città è una "copia originale" di tante città, da Parigi a New York, da Londra a Venezia.



Il Las Vegas Boulevard è pieno di palazzi finti, ma talmente finti da essere unici, originali appunto. 




In mezzo al brulichio di persone, l'odore familiare di erbe medicinali e la ricomparsa dei barboni ci riporta improvvisamente in una America che per un po', sopraffatti dalle bellezze naturali, avevamo dimenticato.

I ragazzi, ovviamente, sono entusiasti, Tutti e due non vedono l'ora di tuffarsi a fare acquisti in uno dei centri commerciali che infestano la città.
Ne visitiamo due, il Miracle e il Fashion Show con risultati devastanti, ma non troppo.

Nel primo il soffitto alto, è un cielo disegnato che ogni tanto tuona e lampeggia come fosse scosso da un temporale. Non mi stupirei se, tornandoci stasera, una luna-lampadina ci illuminasse una notte finta.

Devo però dire la verità. 

Mi aspettavo di uscire disgustato da questa esperienza, invece è tutto così talmente fuori dalle righe che riesce ad essere addirittura piacevole, al punto che, anche lo spettacolo delle fontane di fronte al famosissimo Bellagio, sincronizzate con l'aria di "Con te partirò" cantata da Bocelli , riesce quasi ad entusiasmarmi.




Trascuro invece ogni commento sulla pena nel vedere tutta 'sta gente attaccata alle slot machine o ai tavoli da gioco. Noi che non siamo interessati, veleggiamo attraverso i casino senza fermarci, ma se uno avesse un debole per questo genere di cose, sarebbe impossibile sfuggire al richiamo delle migliaia di macchinette, roulette, black jack e chissà cos'altro, disseminate in ogni punto di questa città.




Due annotazioni, per finire.

La prima è relativa al fatto che, dentro i locali, nei casinò, ma anche in albergo, si può fumare e, a meno che tu non sia a diretto contatto con la sigaretta, il fumo non si sente.

La seconda è che fuori dai locali, per strada, c'è un caldo impressionante. Quasi insopportabile. Un po' sarà per il fatto che siamo in mezzo ad un deserto, per di più d'estate, un po' perché senz'altro un contributo lo danno i condizionatori e gli aspiratori che raffreddano e purificano i locali come frigoriferi medicali.

Fatto sta che camminare sui marciapiedi, all'aria aperta, è veramente un'impresa…  Mi viene d'obbligo completare la citazione...e mi son chi che cammini avanti e indré e me fann mal i pee, me fann mal i pee,  Lina…








martedì 2 settembre 2014

Siamo a cavallo

Alle 8.30 in punto, Jack, i suoi stivali con gli speroni ed il pick up bianco che traina un enorme trailer pieno di cavalli ben educati e pazienti, ci aspettano davanti alla porta della nostra cabin.





Nel giro di una ventina di minuti, dieci dei quali su strade sterrate che richiedono più volte l'uso delle ridotte, arriviamo nel bel mezzo di un niente da cui parte la nostra… cavalcata.

Durante il tragitto scambiamo con Jack qualche battuta sul posto e sulla situazione dell'Italia. Lui non sa un granché del nostro Paese, dove non è mai stato. Vivere qui, per di più gestendo un ranch da veri cowboy, è un po' come essere fuori dal mondo.

La passeggiata inizia con l'assegnazione dei cavalli.
Ad Elisabetta, giustamente, il più bello. Jack per tranquillizzarla (lei che non è mai stata a cavallo) lo definisce Crazy Horse. Si chiama Chief, è un maschio bianco, alto, orgoglioso e, soprattutto, deve aver mangiato pesante ieri sera, perché è il primo, in tutti i sensi, a completare la suite completa di copiose espressioni corporali.    



In seconda posizione, Jake, assegnato a Luca. Jack lo avvisa subito che è un po' lento e consiglia di usare la parte finale delle briglie come frustino per spronarlo a seguire il gruppo.
In effetti, Jake, è un po' fuori forma. Ha una panza da birra e delle orecchie da asino che stonano un po' con l'immagine atletica e slanciata del cavallo da ciwboy che insegue le mandrie o caccia gli indiani.



Alla Vale tocca, Brend, una femmina "melange", timida e riservata, quasi schiva, che si accoda subito alla riga di partenza senza gli scalpitii da Palio (e le pisciate)  di Chief.  




 
A me arriva Nadine. 
E' un amore a prima vista. 
Nonostante le orecchie, un po', come dire, troppo affusolate, Nadine mi dimostra subito devozione ed obbedienza. Esegue con precisione ogni passaggio, soprattutto quando deve trottare per recuperare, assieme al "Panza" di Luca, il distacco accumulato rispetto agli altri tre. 

Il giro si snoda dapprima attraversando un zona aperta e sconnessa, segnata da alcuni fiumiciattoli quasi secchi in questa stagione e poi si insinua, sempre più profondamente in un canyon formato da due pareti ondeggianti e levigate che ricordano le immagini di Antelope Canyon (un posto che abbiamo saltato e dove torneremo con la Harley blu notte).

La formazione è la seguente: In testa, ovviamente, Jack. Tiene per una corda Chief che Elisabetta non si sente di domare da sola. Segue Valentina su Brend che, assonnata e un po' assente, ma tonica, segue senza esitazioni l'andatura baldanzosa di Chief.

Poi, il vuoto.

A parecchie lunghezze di distanza Jake inciampa, sbuffa e arranca evidentemente intrigato a trasportare la sua panza. Reagisce solo in due occasioni: una, quando Luca lo frusta dolcemente sulla chiappa sinistra. Due, quando la dolce Nadine, infastidita dal dovere essere sempre l'ultima - per di più così distante dal suo amato Chief - prova a superarlo.
In quel caso, "il Panza" mette il turbo e sfodera un orgoglio da granatiere impedendo minaccioso ogni manovra di sorpasso.

La bellezza dei paesaggi attraversati, solitari e fuori dal circuito turistico con gli occhi a mandorla (siamo solo noi ad entrare in questa zona e, dopo il passaggio, Jack chiude col reticolato il varco di entrata) ripaga in abbondanza le acciaccature varie riportate nella lunga "cavalcata" a causa del contatto con la sella non del tutto famigliare.

Al ritorno al campo base, un po' doloranti, commentiamo che no, questa non era affatto una turistata. 

Resterà senz'altro nelle cose più belle fatte in questa (inizia ad essere lunga…) esperienza.

Nel pomeriggio arriviamo a Zion Park. 
Una lunga gola tra due alte pareti di montagne che ricordano, nella forma, le nostre Dolomiti, ma hanno origini del tutto diverse che le conferiscono una colorazione che sfuma dal rosso al bianco ed espone alla luce del sole le stratificazioni geologiche delle varie ere, dal Precambriano (4 miliardi di anni fa) al Cenozoico (praticamente oggi). 

L'entrata al parco avviene solo con le navette. Siamo stanchi e non abbiamo tanta voglia di camminare. Ci accontentiamo di mettere i piedi a bagno nel Virgin River. La Vale anche qualcosa di più…




Una bellezza più convenzionale, o meglio, più comparabile con posti già noti, non significa essere meno bello. Zion Park, ha un'atmosfera di tranquillità ed armonia che affascina.
Anche il nostro Hotel (Hampton, della catena Hilton) aiuta in questo. Costa meno di tanti altri, ma ha una posizione invidiabile, l'hot tube aperta fino alle 23, la colazione inclusa.

Quando si inizia ad accusare un po' di stanchezza, questo genere di sorprese fa proprio piacere. 

Oggi ci muoviamo verso Las Vegas. Non mi aspetto niente di buono…



lunedì 1 settembre 2014

Chiuso per ferie

Oggi (in realtà sto parlando dell'altro ieri, 31 agosto) abbiamo deciso per una giornata un po' da svacco.
Ieri sera (30 agosto) tanto per cambiare, abbiamo preso al volo il momento del tramonto sulla meta della giornata, in questo caso il Bryce Canyon.
Una distesa sconfinata di pinnacoli rossi che sembrano quelli fatti lasciando cadere dalle dita, rinchiuse a cono, la sabbia bagnata in riva al mare.



Percorriamo il sentiero che parte dal Bryce Point ed imbocchiamo poi il loop Navajo che arriva al Sunset Point. Il sole a picco, nonostante l'altitudine di un senso di sollievo dal caldo, ci cuoce quel poco di cervello che ci è rimasto.



Il paesaggio è così strano che sembra addirittura finto. Tutto attorno, pinnacoli, creste, fori nella roccia, anfratti stretti e bui,



sono attraversati da questa pista che a volte sale vertiginosamente attorcigliata in mille tornanti.


E' domenica e,  ai soliti giapponesi con il mitra digitale e le ballerine ai piedi, si aggiungono un sacco di turisti della domenica che, per fortuna, si limitano a sparare le raffiche di foto dal parapetto dei parcheggi.

Lo svacco vero prende il sopravvento alla fine del giro, quando, cotti a puntino, decidiamo di rinunciare a qualsiasi altra impresa e di tornare al nostro paesino da cowboy, Tropic, a riposare nella nostra casetta di legno (qui sono comuni, le chiamano cabins).
Tra un caffè espresso fatto all'americana, in pratica tre espressi allungati con acqua, docce e cazzeggi vari e, soprattutto,  tre lavatrici di cose sporche miracolosamente depurate dall'acqua santa di questo posto, facciamo arrivare l'ora di cena e svanire qualsiasi voglia di immortalare un altro tramonto.

Poi, per dirla tutta, neanche l'alba di domani ci vedrà partecipi.

Abbiamo deciso di provare una cavalcata in un posto qui vicino e alle 8.30 c'è il cowboy pick up. Non possiamo arrivare già stanchi.
Speriamo solo che non sia una turistata…