venerdì 29 agosto 2014

Le Stelle dello Sceriffo

Il centro commerciale (quello in cui comprare l'hard disk esterno) non l'abbiamo trovato.
In compenso, abbiamo fatto l'esperienza di fare la spesa in un supermercato Navajo, frequentato solo da indiani.
Dalle signore minute e curate, agli omaccioni, alti, bruciati dal sole e con una lunga coda nei capelli, tutti indiani. 
I soli estranei siamo noi. 
D'altronde siamo nella riserva Navajo del Little Colorado River. 
Siamo anche i soli a pagare con la carta. Loro pagano con dei voucher (penso siano il sussidio statale che ricevono).


Non sembrano stupiti di vederci, la signora alla cassa ci chiede dolcemente come va e , quando io lo chiedo a lei, mi risponde, non solo per la forma, "well, I'm doing well!"

Fuori nel parcheggio, tra le centinaia di pick-up, i ragazzi ci aspettano ormai cotti da un sole caldissimo.

Lungo la strada, la natura la fa da padrona.
Già subito all'uscita del parco, dopo aver ripercorso tutta la Desert View Drive, ci aspettano nuovi canyon, meno impressionanti e colorati, ma molto belli.

La radura tutta intorno alla Road 64, disseminata di cespugli e sassi, e qua è là occupata dalle baracche degli indiani. Per di più casette prefabbricate di legno, molte delle quali in evidente dissesto, benché abitate.
Rispetto ai tepee non sono chissà quale passo avanti.
Per di più, i gruppi di baracche, non sono neanche recintati a mo' di accampamento western come le case dei villaggi più " americani" che abbiamo lasciato alle nostre spalle nei giorni scorsi.

E, a proposito di western, già ben prima dell'ingresso al Parco della Monument Valley, iniziano i pinnacoli da film di quel genere.
Fanno impressione. 

Ci si avvicina a quelle forme caratteristiche, passando per varie formazioni. La più bella  è quella delle montagne che sembrano fatte da castelli di piramidi. Quasi come i castelli fatti con le carte, ma tutti di sabbia rossa.

Lungo la strada, veniamo spesso sorpassati da centauri, rigorosamente su Harley. Riconosci i locali perché, così come non rispettano i limiti di velocità, non indossano neanche il casco.





L'arrivo al parco (20 dollari per 4 persone, la carta annuale fatta al Grand Canyon non vale) lascia subito a bocca aperta e ancor più emozionante il giro in auto sul percorso dissestato e privo di asfalto che circonda le "butte", così si chimono i pinnacoli, più famose.

Tra le tante foto fatte ve ne offro qualcuna, con l'avvertenza che il colpo d'occhio dal vivo è completamente un'altra cosa.




Dopo la cena nel ristorante dell'hotel View, proprio dentro al parco, dove ci siamo fermati cambiando un programma che aveva sbagliato questo pernottamento ( il nostro albergo era inutilmente a 68 km da qui…) qualche foto all'orizzonte sotto una stellata un pochino disturbata dalle luci delle auto che ancora giravano nel parco.


Con Luca abbiamo commentato che la bellezza di questo posto supera quella di Uluru, ma la magia del monolite australiano, tutti e due siamo d'accordo, rimane ineguagliata.

L'alba del giorno prima

Questo post doveva essere pubblicato ieri, invece, il wifi non funzionante,  tutti i dischi pieni  e tutta un'altra serie di problemi tecnici hanno fatto esplodere il contatore delle siracche ed impedito la sua pubblicazione serale.


Doveva iniziare tutto con una sveglia all'alba (quella di ieri, il giorno prima) con una partenza veloce verso il South Kaibab Trail che scende vertiginosamente verso il Colorado River ed
invece alle 8 e mezza eravamo ancora al General Store in preda alla famosa sindrome dell'attacco nucleare imminente.
Un carrello pieno di bottiglie d'acqua, pane, panini, verdure, barrette, frutta, Gatorade e, per sentirci anche un po' a casa, buste di prosciutto e pancetta italiani si muoveva a fatica tra le corsie ancora deserte.

Siamo così partiti "all'alba" delle nove e mezza sotto un sole che ha subito tostato il pane (bene) e sciolto la pancetta (un po' meno bene).

Diciamo che il pranzo non è stato il pezzo forte della giornata se non per il fatto che é stato l'unico momento di vera sosta.
La discesa, più di 600 metri di dislivello e, soprattutto, la salita ci hanno lessato le gambe, ma la soddisfazione di intravedere, laggiù in fondo, uno scorcio del fiume ha azzerato quasi del tutto il dolore della fatica.
Questo, nonostante il fatto che ci siamo accorti, più tardi percorrendo tutta la Desert View Drive che da un paio dei "vista point " il fiume si vedeva anche molto meglio senza neanche la fatica di scendere dalla macchina!

Vabbé però vuoi mettere la soddisfazione? (La Vale non è molto d'accordo su questo)

Al tramonto, stanchi morti, ci appostiamo al Desert View Point dove scattiamo centinaia di foto che, quasi certamente, butteremo.












A proposito di foto, se non riesco a comperare un hard disk esterno (che sembra impossibile trovare...) sono incartato e non riesco a postare nessuna foto fatta con la macchina.
Domani, lungo la strada per la Monument Valley, spero di trovare finalmente il centro commerciale giusto.

Ultima annotazione della serata riguarda la cena. Le ragazze, meno allenate e completamente distrutte, cenano in albergo con insalata e frutta comprata al food market del distributore di benzina. 
Noi maschi, carnivori per eccellenza, proviamo quella che Lonely Planet indica come la miglior steak house della zona. Niente male in effetti, ma l'attrazione della serata è il mago Ace Carter che si esibisce su un palco nella sala da pranzo.

Manca il lancio delle bottiglie e il casino assordante (qui c'è un silenzio norvegese) altrimenti sembrerebbe di essere nel locale country dove i Blues Brothers hanno cantato "Theme from Rawhide".

Le foto di questo post sono le uniche che sono riuscito a scaricare. Le altre, quelle con le ragazze, sono rimaste in macchina (e le ragazze in camera).



mercoledì 27 agosto 2014

Il lato B della Natura

Un viaggio attraverso diverse americhe ci ha portato, al tramonto, sull'orlo di una bellezza straordinaria: il Grand Canyon.

Una serie di situazioni e paesaggi così diversi che ripagano senza dubbio le 10 ore passate ad attraversarli.

Ti ritrovi a percorrere il groviglio di autostrade di San Diego, sfiorare le migliaia di pale eoliche in funzione nella zona di Palm Springs, attraversare le zone desertiche della California e le sterminate distese di cespugli e cactus che, se non fosse per il colore della terra, sembra di essere nell'outback australiano.
Sobbalzare sugli interminabili rettilinei, tanto lunghi quanto ondulati, rimanere a bocca aperta di fronte alle prime formazioni montagnose dell'Arizona che ti illudono sia tutto così desertico. Assieme al cielo  a nuvole dipinte, sembra aspettino solo l'arrivo di John Wayne.
E poi, chiacchierare con il gestore della pompa di benzina isolata in mezzo al niente sull'origine del suo cognome, Noia, e sul fatto che no, in Italia, non esiste nessuna città importante con quel nome.
O ridere di gusto per i piss stop all'aria aperta di noi maschietti, fino ad arrivare stremati a depositare le valige in albergo e a rincorrere un tramonto che ci lascia a bocca aperta.

Tra i cervi ormai addomesticati e una folla di turisti siamo riusciti ad afferrare al volo quella mano di colore rosso che il sole basso all'orizzonte stende lento sulla costa est del Gran Canyon.
L'impressione più profonda è però suscitata dalla sua comparsa, quasi dal niente, al bordo di un paesaggio rigoglioso e verde, ricco di abeti e vegetazione.

Chi si aspetta, come me, una specie di montagna in mezzo al nulla rimane, sempre come me, esterrefatto.


Sembra come  la bellezza naturale, nella sua essenza più primitiva, abbia fatto un giro completo, si sia come capovolta per mostrare il lato più intimo, nascosto. 

Come rivoltare una montagna ed ammirarne le cavità alla luce del sole.


La Vale e Luca su uno sperone a strapiombo sul Grand Canyon


Anche stasera niente foto, troppe cose da fare e troppo stanchi.
Poi domani si parte presto per un trail.

Prima o poi, mi rifarò...


Una Jolla con Al Capone

Alla fine, alla Jolla ci siamo arrivati, ma solo a sera, dopo il tramonto.

E' tutto il giorno che ridiamo dietro a questo nome. Un po' per il suo ritmo dinoccolato, così sciolto, molto sciallo  da atmosfera californiana, un po' per il significato che questa parola ha assunto nel gergo giovanile veronese. Non lo spiego per esteso, dico solo che ha a che fare con gli aromi  che ci hanno accompagnati in questi giorni.

La mattina e buona parte del pomeriggio sono volati via con la sosta a El Coronado. Un posto quasi snob, ma affascinante che si raggiunge attraversando la baia sul El Coronado Bay Bridge, una specie di rotaia da ottovolante ad otto corsie però.
Villette basse di vario stile con giardini curati maniacalmente ti accompagnano fino ad una spiaggia enorme di sabbia chiara e finissima che si insinua dappertutto, in particolare nelle macchine fotografiche ed i telefoni.

Luca affitta subito il suo surf al casottino dell'Hotel El Coronado, Una costruzione molto estesa e ricercata che ha fatto da set al film "A qualcuno piace caldo".

Le onde oggi qui sono un po' strane. Pur partendo molto alte, si rompono quasi subito e surfare è ancor più difficile del solito.

Una trentina di persone, ospiti dell'albergo, sta facendo una lezione di surf, seguta da tre maestri, entrano in acqua baldanzosi e felici, ed escono contusi e a testa bassa senza mai essere riusciti a stare in piedi.

Luca, invece, meno del solito, ma ci riesce. Purtroppo, rimedia anche una bella abrasione sullo zigomo, sfregando la faccia, trascinato sul fondo sabbioso da un "cavallone" più energico degli altri.
Prima un gentile signore di origini iraniane si è preso cura di lui, accompagnandolo per un tratto fino a trovare una pianta di aloe vera da usare come cicatrizzante. Poi il commesso del Subway, dove abbiamo pasteggiato con dei panini, si è offerto di aiutarlo, confermando la nostra ottima esperienza nel contatto con la gente di qui.

Verso sera, alla ricerca della Jolla, scopriamo il posto dove vanno a surfare gli abitanti di San Diego.
Pacific Beach, nella parte est del promontorio della Jolla.
Il mare brulica di surfisti che sembrano una colonia di pinguini all'approdo dell'unico iceberg.
Le onde alte e regolari consentono acrobazie da documentario.
Bello è osservare la devozione che questi sportivi riservano al mare, prima e dopo il gesto atletico.
Alcuni restano in meditazione a lungo osservando il sole che nel frattempo scende piano sulla baia, inseguito da centinaia di scatti e di riprese del tutto inutili…

La serata finisce con la grezzata degna di una Jolla.
Cena in un ristorante italiano, in mezzo ad altri italiani.
Si mangia bene, ma il vero numero della serata è l'entraîneuse: un ragazzino, un bel po' effeminato che, vestito da Al Capone, offre ai clienti il lato migliore del nostro paese…

Un modo un po' strano, ma che ci diverte un sacco (ci imbastiamo su un sacco di sketch..) per finire un'altra giornata da ricordare.

Domani ci attende un tappone di trasferimento e stasera è tardi e non ho tempo per postare delle foto. Ve ne offro solo una fatta da Luca a Pacific Beach, con una banda di esaltati che salutano il sole che muore.






martedì 26 agosto 2014

Nel nome del padre...

Con la p minuscola, ovviamente.

Che poi sarei io a San Diego. 
Il sacro ed il profano, la preghiera e la siracca in quella che dicono essere "the finest city of USA", la città più bella.

In effetti, l'intrico di autostrade a 6 corsie e tre piani avvolge una downtown affascinante. Negozi e ristoranti di ogni tipo. Risciò illuminati percorrono incessantemente le strade del centro, qui indicate con le lettere ed il numero cardinale,Varia umanità, turistica e non che passeggia rilassata e senza fretta. Molto spesso avvolta dalla nuvola di fumo della quale, ormai, siamo in grado di distinguere qualità e provenienza.
Tra La Fifth e la K, ceniamo da Donovan, una steak house che ci ha pienamente soddisfatto. La cameriera, Samantha, una trentenne molto carina, esulta, come quasi tutti qui, quando dichiariamo la provenienza. Ci elenca i posti dove è stata e singhiozza il desiderio di tornare quanto prima giù da noi.
Ha il vizio di toccarci mentre ci parla e Luca ci imbastisce sopra un gioco alla "dársela" (in dialetto si chiama così quel gioco che ce l'ha l'ultimo che non è riuscito a scappare dal tocco del penultimo). 

Chissà perché, a fine serata, ho perso io.

Prima di arrivare a San Diego, dove alloggiamo in un hotel molto carino che compensa il prezzo basso con una certa  distanza dalle cose belle da vedere (si trova nell'Hotel Circle, lungo la highway...) abbiamo veleggiato con il transatlantico tra le ville milionarie di Beverly Hills, arrancando poi sulle stradine di Hollywood, alla ricerca del famoso Sign.

Impresa che è sembrata impossibile fino all'ultimo, nonostante la tattica di seguire uno degli innumerevoli van scoperti dei tour per turisti. Venivamo sempre spiazzati da una improvvisa sosta davanti alla casa di non so chi.

Poi finalmente, sempre seguendo uno di quegli attrezzi, siamo arrivati ad una piazzola che sembrava promettere bene,
Ci aspettavamo di essere dietro la scritta, più o meno sopra la grande H, quando invece il Sign stava là di fronte, ben lontano, su una collina molto più alta.
Non so perché, ma questa vista, mi ricorda solo un cartone animato dei Flinstones, dove la scritta campeggiava, ovviamente in pietra, sul villaggio di Wilma e Fred.

Lungo la strada per San Diego facciamo sosta anche a Long Beach.
Anche qui c'è la sorpresa.
Mi aspettavo una cittadina tipo Venice o poco più. Siamo invece nel terzo porto al mondo dopo Singapore ed Hong Kong.
Una distesa smisurata di gru e darsene private così grandi che ti chiedi come fai a ritrovare la barca.

Dalla parte più a sud, invece, una spiaggia chiara e profonda si affaccia su una serie di isolotti, penso artificiali, abitati da sole palme e trivelle di perforazione.

Mangiamo, con il cibo preso in un supermercato, su un tavolino proprio lì fuori, assieme ad un barbone, credo, del posto.
Ci saluta cordialmente e passa il tempo, incurante del carrello con le sue cose che è senz'altro la sua casa, a bere da una lattina qualcosa di strano, dondolando con il corpo come ad accompagnare il liquido.
Non è il solo, qui davanti, dopo un po' arriva un ragazzo, anche lui con il suo carrettino. Cappellino da baseball indossato su dei lunghi capelli biondi. Avrà si e no 25 anni.
Come tanti che qui incontri ovunque, sbarca il lunario rovistando nei rifiuti alla ricerca dei vuoti a rendere (qui anche la plastica dà diritto ad un change).
Assistiamo, senza volerlo, al suo baratto con tanto di ricevuta con l'autista del camion di rifornimento del supermercato che acquista il suo bottino.
In molti sono anche quelli attrezzati con metal detector che perlustrano le spiagge.

Il numero di questi personaggi, di cui sarebbe bello conoscere la storia, è veramente alto,
Nessuno mai ci ha importunato, anzi. Sono gentili e rispettosi. Sembra quasi che tutti abbiano un passato simile al nostro, ma siano stati schiacciati, impotenti a reagire, da una crisi che qui ha colpito veramente duro.



A dispetto dell'ottimismo di Bob (il guest father di Luca da qui siamo stati a cena a Santa Cruz) che ci diceva,  lui democrat, che Obama ha reso questa nazione di nuovo ""prosperous", le persone che non c'è la fanno sono molte e le incontri, stranamente, non solo nelle grandi città, ma in ogni posto dove vai, tipo questo supermercato di un anonima cittadina californiana.

Ho provato, qualche volta, a fotografarli senza essere visto, per non essere invadente. Raccoglierò quelle foto in un post ad hoc, tipo Humans of California, non appena avrò il tempo di sistemarle.

Oggi, invece niente foto. Se non questa presa con l'iPad, di questa spiaggia di San Diego, El Coronado, che, per la bellezza dei suoi alberghi, di sicuro non deve essere un posto da poveracci...


 

lunedì 25 agosto 2014

Onda su onda

Stamattina non ce l'ho fatta a postare le foto fatte ieri e  mi ritrovo, questa sera, a rincorrerne il racconto.

Sull'onda di un tempo che trascina giornate così intense e ricche, ecco quindi le foto delle onde del mare mentre portano Luca lì, alla deriva.

Scherzi a parte,  Luca è stato proprio bravo: io ho provato un paio di volte, ma non sono mai riuscito neanche a salire in piedi sulla tavola. Si vede che ci vuole  arte quando si parla di onde.








Quelle sotto, invece, sono le onde, di un cemento liscio e luccicante, che spingono gli skaters a velocità ed acrobazie estasianti, per non dire allucinanti...

Come l'onda di "profumo" che ti avvolge quando sfrecciano, vicini, sulla tavola volante.








Ecco qui, onda su onda, questa giornata, magica e bella, si è conclusa così.



P.S.: questo post è quasi un gioco. Il titolo lo avevo in mente da qualche giorno, poi ho cambiato idea, ma stamattina, smessaggiando con Thelma e Louise (alias Carla e Francesca) due ragazzacce in fuga balneare, è venuta fuori  per caso questa canzone, con allegato indovinello su chi l'avesse scritta. 
Ho scoperto che l'autore è Bruno Lauzi. 
In realtà, che non fosse Conte lo sapevo, ma il Don Backy che avevo in mente non c'entrava proprio niente. 

Questa volta, come dire, ho perso l'onda.

E' per questo che rilancio con una citazione difficile da…trovare.


Week end a Venezia

La facciata del nostro albergo di nome Erwin, a Venice Beach, ci aveva tratto in inganno.
Dalla foto su Internet sembra un alberghetto a quattro piani a conduzione famigliare. Avevamo scherzato a lungo sulla cosa, assimilandolo ad una delle tante pensioncine sul Lago di Garda.
La facciata, in effetti è proprio così. Anzi, le facciate: una che da sulla spiaggia ed una sulla Pacific Ave. In mezzo alle due, però,  un insospettabile casermone ospita una fauna variegata di giovinastri in cerca di emozioni sulle onde.

Il clima qui è da vacanza allo stato brado. Effluvi di "weed" ci accompagnano ad ogni passo, come a S. Francisco e a Santa Cruz, forse anche di più. Se la statistica ha un significato, direi che è la California ad essere un ricettacolo di orticoltori con la passione per l'erba verde.

Una giornata che doveva essere tranquillamente balneare si traveste, quasi subito, nell'assillo alla caccia della foto giusta.
La foto giusta a Luca che surfa, intendo.

Dall'affitto della tavola, verso le 11, alla riconsegna al tramonto, è tutto un tentativo. 
Per la verità, vista la forza e la grandezza delle onde, devo dire che Luca è riuscito a fare bene quella decina di volte, cosa che non era proprio facile da prevedere.

La lunga (e larga spiaggia) viene continuamente battuta dai bagnini (tutti bellocci, ovviamente) che invitano la gente a spostarsi dalle zone con le onde più pericolose fischiando vigorosamente  con un fischietto o, qualcuno, con la bocca (@Francesca: ti ho pensata.) 
Sembra quasi di essere in colonia, non fai a tempo a divertirti aspettando le ondone da tre metri che ti urlano di spostarti. Quando tutti eseguono l'ordine, l'effetto gregge/pastore è inevitabilmente buffo.

Ovviamente non ci sono venditori ambulanti. Unica eccezione, delle signore molto basse, dai tratti incerti tra l'asiatico ed il messicano,  che vendono frutta fresca. Il nostro pranzo sarà una bustina di mango. Di così buono non ne abbiamo mai mangiato.



Nella battigia, gente di ogni tipo, ma in prevalenza giovane passeggia, gioca, fa ginnastica, fuma…

Uno di questi, mentre stavo cercando di riprendere Luca, tanto per cambiare, mi si avvicina e, vistosamente fatto, inizia a raccontarmi della sua vita in Minnesota e di quella di sua zia che abita qui e sta morendo di cancro.
Si sa che l'erba da un effetto disinibente, ma qui sono tutti davvero cordiali. Capita spesso, come da noi in montagna, che la gente (anche normale) incrociandoti, ti sorrida, ti saluti e qualche volta attacchi bottone con il tipico "how are you?".

Il sole che tramonta sul mare, rende magica l'esibizione di una ventina di ragazzi che si lanciano in acrobazie con lo skate-board sulla pista al bordo della spiaggia.



Ho fatto un po' di foto, ma adesso sono troppo stanco per sistemarle. Domattina (mia) forse ci provo ed aggiorno il post. Adesso, invece, vado a letto…

  
 

domenica 24 agosto 2014

Tranqui, scialli, tutto a posto...

Il terremoto da 6.1 gradi Richter, che stanotte alle 3.20 ha scosso San Francisco, fino a Venice Beach (Los Angeles, non San Francisco)  non è arrivato…


Qui, l'unico terremoto, almeno finora è quello che generano i ragazzi, agitatissimi (soprattutto Luca) per la vita del posto…




E' come...

E' importante, in avventure come questa, saper dare ai viaggi di trasferimento lo stesso sapore di una meta desiderata. Saper trasformare le lunghe ore passate in movimento in momenti di approdo a destinazioni ricercate con passione può cambiare completamente il gusto della giornata e far sembrare meno dura la fatica del viaggio stesso.


Oggi è stato un giorno di quelli lì.

Un viaggio lungo quasi 600 chilometri, è diventato una sequenza di mete importanti, quasi definitive per la profondità che hanno espresso.

Senza dubbio la palma d'oro va all'avvistamento di orche e balene lungo la costa del Big Sur, sulla Interstate 1 che costeggia il bordo americano sul Pacifico.
Sulle prime sembrano rocce in mezzo al mare. Spruzzano l'acqua, spazzate dalle onde. Poi, quando iniziano a muoversi e a mostrare la forma tipica della coda,  esultiamo tutti quanti come dei bambini. Io, in particolare, che ho ancora aperta la ferita di non averle viste ad Hervey Bay, dove, praticamente non hanno altro che balene.




Un'emozione da donare come regalo di compleanno al tuo più amico più caro.

Abbiamo preferito la Interstate 1 che, per lunghi e tortuosi tratti è ad una solo corsia, alla più comoda Highway 101, proprio per godere dei suoi panorami a picco sull'Oceano. Ed è stata la scelta più giusta.





E' stata poi la giornata degli "E' come…".

Non un connotato banale di ciò che abbiamo visto. Anzi, dato che qui è tutto più grande, più esteso, sembra quasi un ingrandimento di panorami e sensazioni familiari e conosciute.

Come quei paesaggi che ricordano, in momenti diversi, le coste brulle e scoscese del Mani, nel Peloponneso  o le colline bruciate dal sole e disseminate di alberi isolati della Calabria.
A volte, l'interno montuoso richiama la Lessinia, con i suoi boschi sparpagliati a disegnare macchie e serpenti sulle dolci pendenze erbose.

O come i pellicani uguali a quelli di Cuba.
O come le onde ed i surfisti approdati qui direttamente dalle coste dell'Australia.

Mentre viaggiamo poi, cantando e ballando davanti alla GoPro (per esigenze di copione), la vista di una montagna che assomiglia al Monte Baldo, scatena una gag  in stile rap: "El Baldo! Tum Tum Tum, El Baldo!" a ritmo della musica house che in sottofondo ci accompagna.

A proposito di musica, Luca ha preparato quattro CD, finora quello house è quello che ha riscosso meno successo.  In testa, invece, quello chiamato Lanch. Milky Chance a go-go.
In seconda posizione "Old", con musiche, come dice il nome, più datate (da Simon & Garfunkel agli America e, ovviamente, gli Eagles con Hotel alias Vedel California).

Neanche la lunga coda che ci siamo sorbiti da Malibù a Venice Beach - un meno ambito "è come" della A4 Verona-Milano -  è riuscita a scalfire il buonumore generato da una giornata come questa. Anzi, abbiamo sfruttato la lentezza per osservare con più attenzione le case dei vip disseminate sulle colline qui attorno.

Domani, giornata di riposo (Luca vuole surfare…) e magari io avrò la forza di raccontare meglio una giornata così bella.

E' un po' come chiudere gli occhi prima della fine del capitolo…















sabato 23 agosto 2014

Statale 17

Il sole batte a picco, stamattina qui a San Francisco.
E' un vero peccato lasciare questa casa e questa città in una giornata così brillante.
Anneghiamo il dispiacere nell'ultima colazione all'americana, scrambled eggs and crispy bacon e nell'idromassaggio finale nella hot tube in giardino.




Prima di partire veramente, però, devo anche gestire la sorpresa della multa trovata sul parabrezza del camion. 88 dollari per divieto di sosta, da pagare entro 21 giorni. 


Chiedo a due ragazzi di passaggio cosa devo fare e cerco anche di capire il perché della multa.
In effetti è qualche giorno che parcheggio la macchina in quel punto, alla luce dei fatti così spiegabilmente sempre libero. Quel segno sul marciapiede MTA*, scritto in bianco, non voleva dire, come mi aveva detto un tizio il primo giorno : "you should stay there", ma, al contrario, come mi spiega il ragazzo stamattina, "you can only stay a few minutes to load" .

Vabbè, in pochi minuti, collegato al sito MTA, con il "citation number" e la carta di credito a portata di mano, ho risolto la questione. Ho solo finto di essere residente a San Francisco per poter riempire il form, ma non penso avrò problemi. 

Lasciamo la città attraverso la Interstate 280. 
Un traffico ordinato ci trascina quasi subito fuori dal centro. Nella freeway, che costeggia boschi di abeti e grandi laghi artificiali, siamo gli unici a rispettare i limiti.
Non è quindi vero che qui sono tutti così ligi. E' vero che nessuno sfreccia a velocità troppo elevate, ma il limite dei 65  è, diciamo, interpretato con un buon grado di tolleranza. Tutto questo nonostante non sia raro fiancheggiare macchine della polizia in posizione da agguato con il radar che controlla la velocità.

All'altezza di Standford  il panorama, che poi è quello dello sfondo di Windows 98 (completamente bruciato però, proprio come quella versione di sistema operativo) propone sullo sfondo radiotelescopi e i laboratori legati allo SLAC, l'acceleratore di particelle che ci passa proprio sotto. Dopo Berkley è un altro tuffo nei ricordi degli ormai lontani studi universitari.


All'arrivo a Santa Cruz, attraverso la Statale 17 (chi se ne intende, capirà questo riferimento discografico ed il suo completamento nell'incipit del blog) è d'obbligo il tributo ai posti frequentati da Luca durante la sua vacanza di due anni fa: la scuola, il negozio "Bank of Italy" dove giornalmente si riforniva di olive (la sua droga dichiarata), la via dei negozi, la Pacific Ave.



Poi la spiaggia, piena di ragazzi e di gente strana che si diverta con giochi di gruppo e partite di football americano.




Santa Cruz è un posto, se possibile, ancor più ricco di frichettoni di quanto fosse San Francisco. Luca dice che è una specie di Byron Bay. La sostanza è che la città è piena di "fattoni" e di gente "border line". Assistiamo anche ad una strana manifestazione di protesta, da parte di una ventina di loro,  contro lo sgombero di un palazzo occupato nei giorni scorsi. Niente di pericoloso, si intende, ma è un fatto che la California si presenta ai nostri occhi come un posto, come dire, un po' "leggero"…




Tra spiaggia e visita in città,  dobbiamo fare tutto di corsa perché stasera abbiamo un invito a cena, alle 6 (avete letto bene, le 18) a casa degli host parents di Luca.

Cena che, nonostante le preoccupazioni per la difficoltà della lingua, si srotola piacevole e senza intoppi, accompagnata dalle chiacchiere gentili e ininterrotte di Betsy e Bob, ospitali e generosi proprio come ce li aveva descritti.

Anche TY, il cane di casa, un lupo alto due metri si prodiga in feste e richieste di coccole che par quasi ci aspettasse da una vita.

Una serata che, tra barbecue, macchinoni, casa con giardino, foto di famiglia (e paletot…un altro indizio) più americana non poteva essere.





  


venerdì 22 agosto 2014

In Loving Memory

In uno dei post australiani, avevo elencato una serie di "lesson learnt".

Tra queste, ricordo bene l'aver raccomandato di non avere troppe cose di cui fare l'appello ad ogni ripartenza da una sosta.
Portafoglio, telefoni, marsupio, tracolla, occhiali, macchine fotografiche, zaini, a volte valigie....

In effetti, in questo giro, ho eliminato un telefono (quello tedesco...), il marsupio, la tracolla e, quasi sempre, anche gli occhiali.

Rimane il portafoglio. Ok celo.
Il telefono (uno solo perché il blackberry di lavoro come sanno i miei colleghi è morto o quasi): celo.
Lo zaino, Orco per la precisione: si, celo anche lui.
La macchina fotografica: celo.
Anzi, no. Erano due. Ma la Leica Dlux4, quella piccola, presa coi punti della Lufthansa, la mia Leica, brutta bestia,  dove l'è?

Ce l'avevo in tasca della felpa, no delle braghe, no, in mano. Porca Eva, la tenevo stretta mentre ero al banco del  negozio nella zona dei murales!

NOOOOO!

Vuoi vedere che quella ragazza che ci ha rincorso consegnandoci un inutile biglietto da visita di non so che posto di cui non potrà mai fregarcene de meno, con l'altra mano si è intascata la mia macchinetta che, a 'sto punto è chiaro, invece di tenerla stretta in mano, 
l'ho lasciata sopra il banco mentre pagavo il libro sulla Street Art?

Probabilmente ha finto di consegnarcela per non destare il sospetto della signora rimasta dietro al banco ed invece ci ha solo rifilato quell'inutile biglietto.

Peccato aver fatto l'appello solo a tarda sera, quando il negozio era ormai chiuso.
Il giorno dopo (ieri, nda) abbiamo chiamato, ma ovviamente della Leica nessuna traccia...

Come è strana la vita, a volte!

Era passata indenne nel primo giro sull'E5,  sopravvissuta all'operazione subita in seguito ai maltrattamenti di Luca nel giro in bici da Passo Resia a Verona, aveva scapolato una morte certa in terra Australiana grazie al fatto che, sempre Luca, se l'era dimenticata  a casa, era riemersa boccheggiante, ma ancora viva dal cesso thailandese dove Enrico aveva cercato di affogarla ed infine rimasta intatta durante il lungo scivolone sulla Bocca del Tuckett.

Insomma, aveva visto le sue e, oltre a vederle, le aveva anche fatte vedere bene.

10 megapixel di dettagli sfumati così stupidamente a causa della mia distrazione di un secondo.

Speriamo almeno che chi l'ha presa abbia  altrettante cose belle da farle vedere.




RIP

Tourist Tour (you gotta do it)

Come promesso,  oggi giornata turistica.

La San Francisco delle guide tradizionali, dalla Coit Tower con i suoi murales comunisti (molto più altezzosi di quelli di Mission) alla Filbert Street coi suoi pappagalli  (noi non ne abbiamo visto uno) passando attraverso il Fisherman Wharf (deve aver ispirato il progettista di Gardaland, o viceversa) per finire con la famosa Lombard Street con i suoi 18 tornanti di cartapesta,  ci delude però profondamente.



Forse è la densità di turisti, moltissimi gli italiani, forse è che ci eravamo abituati ad una popolazione più lercia, ma più vera, certo è che, se fosse per me, attenuerei un po' l'indicazione "da non perdere" che anche la Lonely Planet assegna a questi posti. 

Nemmeno lo sferraglio famigliare del tram milanese che scorrazza sotto le palme a fianco dei Peer riesce a darmi una sensazione molto diversa da quella di trovarmi in uno di quei divertimentifici turistici che dopo un minuto mi hanno già annoiato e che oggi sopporto solo perché: primo, finalmente c'è un bel sole e secondo ho voglia di mangiare il granchio e vedere i leoni marini che assediano il Peer 39.



Il sole permette infatti di osservare con una luce decente alcuni scorci d'effetto, come quello dl Golden Gate che vedete qui sotto.



E poi, a risollevare le sorti di questa giornata, come dire, fatta in serie, arriva un pranzo a base di granchio e la vista del leoni marini. Queste due cose ci danno, per fortuna, una certa soddisfazione.
Come pure è piacevole la vista sulla salita di Hide Street, percorsa lingua fuori, inseguendo con lo sguardo le Cable Car piene di turisti poco disposti alla fatica. La in fondo, Alcatraz, dà l'idea di essere altrettanto un "amo" per turisti e non credo che sarà nostra meta. Oggi, per dire, tutti i possibili passaggi verso l'isola erano "sold out".


A metà di Hide Street, un signore, vedendo Luca con il penny sotto braccio lo sfotte, sfidandolo ad usarlo su quel pendio da pista nera: "You gotta do it, mate!". E' l'ennesimo esempio di abitante gioviale e ben disposto. Non ho fatto però caso se avesse in mano, come quasi tutti qui, una sigaretta un po' diversa e senza filtro, né se dal taschino della camicia avanzasse fuori la magica prescrizione per quell'erba terapeutica il cui fumo è la vera causa (mai ufficialmente ammessa) della nebbia che "protegge" la città.





Arrivati in fondo a Lombard Street, ci rendiamo conto tutti assieme di aver voglia di tornare nel nostro quartiere, in mezzo alla sua variegata umanità. Ammettiamo solo una veloce sosta in centro perché Luca vuole comprare delle scarpe da running nell'immenso negozio della Nike (oggi non è fortunato però. Alla fine ha preso solo una maglietta).



Il passaggio nella Little Italy locale, ci riserva la sorpresa di una 600 multipla parcheggiata davanti ad un'officina Alfa Romeo.
Qui le uniche macchine italiane presenti ormai sono solo le 500, in gran parte quelle scapottabili. Oggi ne abbiamo vista una, rossa, che pubblicizzava un negozio di lingerie ed era targata "CULOTTE"!


Arrivati a casa, mentre i ragazzi vanno da soli verso Market Street (un sacco di strada) noi giriamo per il quartiere e facciamo la spesa, in quello che ormai è diventato il nostro supermercato, per l'ultima cena di stasera. Da domani, questo "lusso" di poterci gestire la vita un po' come se fossimo a casa nostra, svanirà nelle anonime camere degli alberghi che visiteremo. Elisabetta si consola pensando che almeno non dovrà più lavare i piatti (prima che partano crociate femministe: io cucino, questa è la divisione dei compiti in casa nostra anche a Verona). 

Per le strade del quartiere (che si chiama Noe Valley) incontriamo un sacco di gente, donne soprattutto, con un calice di vino in mano. E' il Noe Valley Wine Walk, una passeggiata con varie tappe in cui si assaggiano vini offerti dai negozianti. Vista l'ora, l'andatura è ancora abbastanza diritta. Non so però come finirà più tardi.

Noi, stasera, per cambiare beviamo birra californiana.