martedì 26 agosto 2014

Nel nome del padre...

Con la p minuscola, ovviamente.

Che poi sarei io a San Diego. 
Il sacro ed il profano, la preghiera e la siracca in quella che dicono essere "the finest city of USA", la città più bella.

In effetti, l'intrico di autostrade a 6 corsie e tre piani avvolge una downtown affascinante. Negozi e ristoranti di ogni tipo. Risciò illuminati percorrono incessantemente le strade del centro, qui indicate con le lettere ed il numero cardinale,Varia umanità, turistica e non che passeggia rilassata e senza fretta. Molto spesso avvolta dalla nuvola di fumo della quale, ormai, siamo in grado di distinguere qualità e provenienza.
Tra La Fifth e la K, ceniamo da Donovan, una steak house che ci ha pienamente soddisfatto. La cameriera, Samantha, una trentenne molto carina, esulta, come quasi tutti qui, quando dichiariamo la provenienza. Ci elenca i posti dove è stata e singhiozza il desiderio di tornare quanto prima giù da noi.
Ha il vizio di toccarci mentre ci parla e Luca ci imbastisce sopra un gioco alla "dársela" (in dialetto si chiama così quel gioco che ce l'ha l'ultimo che non è riuscito a scappare dal tocco del penultimo). 

Chissà perché, a fine serata, ho perso io.

Prima di arrivare a San Diego, dove alloggiamo in un hotel molto carino che compensa il prezzo basso con una certa  distanza dalle cose belle da vedere (si trova nell'Hotel Circle, lungo la highway...) abbiamo veleggiato con il transatlantico tra le ville milionarie di Beverly Hills, arrancando poi sulle stradine di Hollywood, alla ricerca del famoso Sign.

Impresa che è sembrata impossibile fino all'ultimo, nonostante la tattica di seguire uno degli innumerevoli van scoperti dei tour per turisti. Venivamo sempre spiazzati da una improvvisa sosta davanti alla casa di non so chi.

Poi finalmente, sempre seguendo uno di quegli attrezzi, siamo arrivati ad una piazzola che sembrava promettere bene,
Ci aspettavamo di essere dietro la scritta, più o meno sopra la grande H, quando invece il Sign stava là di fronte, ben lontano, su una collina molto più alta.
Non so perché, ma questa vista, mi ricorda solo un cartone animato dei Flinstones, dove la scritta campeggiava, ovviamente in pietra, sul villaggio di Wilma e Fred.

Lungo la strada per San Diego facciamo sosta anche a Long Beach.
Anche qui c'è la sorpresa.
Mi aspettavo una cittadina tipo Venice o poco più. Siamo invece nel terzo porto al mondo dopo Singapore ed Hong Kong.
Una distesa smisurata di gru e darsene private così grandi che ti chiedi come fai a ritrovare la barca.

Dalla parte più a sud, invece, una spiaggia chiara e profonda si affaccia su una serie di isolotti, penso artificiali, abitati da sole palme e trivelle di perforazione.

Mangiamo, con il cibo preso in un supermercato, su un tavolino proprio lì fuori, assieme ad un barbone, credo, del posto.
Ci saluta cordialmente e passa il tempo, incurante del carrello con le sue cose che è senz'altro la sua casa, a bere da una lattina qualcosa di strano, dondolando con il corpo come ad accompagnare il liquido.
Non è il solo, qui davanti, dopo un po' arriva un ragazzo, anche lui con il suo carrettino. Cappellino da baseball indossato su dei lunghi capelli biondi. Avrà si e no 25 anni.
Come tanti che qui incontri ovunque, sbarca il lunario rovistando nei rifiuti alla ricerca dei vuoti a rendere (qui anche la plastica dà diritto ad un change).
Assistiamo, senza volerlo, al suo baratto con tanto di ricevuta con l'autista del camion di rifornimento del supermercato che acquista il suo bottino.
In molti sono anche quelli attrezzati con metal detector che perlustrano le spiagge.

Il numero di questi personaggi, di cui sarebbe bello conoscere la storia, è veramente alto,
Nessuno mai ci ha importunato, anzi. Sono gentili e rispettosi. Sembra quasi che tutti abbiano un passato simile al nostro, ma siano stati schiacciati, impotenti a reagire, da una crisi che qui ha colpito veramente duro.



A dispetto dell'ottimismo di Bob (il guest father di Luca da qui siamo stati a cena a Santa Cruz) che ci diceva,  lui democrat, che Obama ha reso questa nazione di nuovo ""prosperous", le persone che non c'è la fanno sono molte e le incontri, stranamente, non solo nelle grandi città, ma in ogni posto dove vai, tipo questo supermercato di un anonima cittadina californiana.

Ho provato, qualche volta, a fotografarli senza essere visto, per non essere invadente. Raccoglierò quelle foto in un post ad hoc, tipo Humans of California, non appena avrò il tempo di sistemarle.

Oggi, invece niente foto. Se non questa presa con l'iPad, di questa spiaggia di San Diego, El Coronado, che, per la bellezza dei suoi alberghi, di sicuro non deve essere un posto da poveracci...


 

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