sabato 23 agosto 2014

Statale 17

Il sole batte a picco, stamattina qui a San Francisco.
E' un vero peccato lasciare questa casa e questa città in una giornata così brillante.
Anneghiamo il dispiacere nell'ultima colazione all'americana, scrambled eggs and crispy bacon e nell'idromassaggio finale nella hot tube in giardino.




Prima di partire veramente, però, devo anche gestire la sorpresa della multa trovata sul parabrezza del camion. 88 dollari per divieto di sosta, da pagare entro 21 giorni. 


Chiedo a due ragazzi di passaggio cosa devo fare e cerco anche di capire il perché della multa.
In effetti è qualche giorno che parcheggio la macchina in quel punto, alla luce dei fatti così spiegabilmente sempre libero. Quel segno sul marciapiede MTA*, scritto in bianco, non voleva dire, come mi aveva detto un tizio il primo giorno : "you should stay there", ma, al contrario, come mi spiega il ragazzo stamattina, "you can only stay a few minutes to load" .

Vabbè, in pochi minuti, collegato al sito MTA, con il "citation number" e la carta di credito a portata di mano, ho risolto la questione. Ho solo finto di essere residente a San Francisco per poter riempire il form, ma non penso avrò problemi. 

Lasciamo la città attraverso la Interstate 280. 
Un traffico ordinato ci trascina quasi subito fuori dal centro. Nella freeway, che costeggia boschi di abeti e grandi laghi artificiali, siamo gli unici a rispettare i limiti.
Non è quindi vero che qui sono tutti così ligi. E' vero che nessuno sfreccia a velocità troppo elevate, ma il limite dei 65  è, diciamo, interpretato con un buon grado di tolleranza. Tutto questo nonostante non sia raro fiancheggiare macchine della polizia in posizione da agguato con il radar che controlla la velocità.

All'altezza di Standford  il panorama, che poi è quello dello sfondo di Windows 98 (completamente bruciato però, proprio come quella versione di sistema operativo) propone sullo sfondo radiotelescopi e i laboratori legati allo SLAC, l'acceleratore di particelle che ci passa proprio sotto. Dopo Berkley è un altro tuffo nei ricordi degli ormai lontani studi universitari.


All'arrivo a Santa Cruz, attraverso la Statale 17 (chi se ne intende, capirà questo riferimento discografico ed il suo completamento nell'incipit del blog) è d'obbligo il tributo ai posti frequentati da Luca durante la sua vacanza di due anni fa: la scuola, il negozio "Bank of Italy" dove giornalmente si riforniva di olive (la sua droga dichiarata), la via dei negozi, la Pacific Ave.



Poi la spiaggia, piena di ragazzi e di gente strana che si diverta con giochi di gruppo e partite di football americano.




Santa Cruz è un posto, se possibile, ancor più ricco di frichettoni di quanto fosse San Francisco. Luca dice che è una specie di Byron Bay. La sostanza è che la città è piena di "fattoni" e di gente "border line". Assistiamo anche ad una strana manifestazione di protesta, da parte di una ventina di loro,  contro lo sgombero di un palazzo occupato nei giorni scorsi. Niente di pericoloso, si intende, ma è un fatto che la California si presenta ai nostri occhi come un posto, come dire, un po' "leggero"…




Tra spiaggia e visita in città,  dobbiamo fare tutto di corsa perché stasera abbiamo un invito a cena, alle 6 (avete letto bene, le 18) a casa degli host parents di Luca.

Cena che, nonostante le preoccupazioni per la difficoltà della lingua, si srotola piacevole e senza intoppi, accompagnata dalle chiacchiere gentili e ininterrotte di Betsy e Bob, ospitali e generosi proprio come ce li aveva descritti.

Anche TY, il cane di casa, un lupo alto due metri si prodiga in feste e richieste di coccole che par quasi ci aspettasse da una vita.

Una serata che, tra barbecue, macchinoni, casa con giardino, foto di famiglia (e paletot…un altro indizio) più americana non poteva essere.





  


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